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Un fenicottero chiamato Tango

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Il cortometraggio, nato da un’idea originale di Antonella Arca e Gustavo Gini, narra la storia di un fenicottero chiamato Tango e si svolge in Sardegna, tra il sistema di stagni di Cagliari e i boschi di Bolotana, immersi nei rilievi del Marghine. L’idea genetica dell’opera deriva dal fatto che in lingua spagnola il fenicottero si chiami flamenco.

Nella stessa lingua il termine si utilizza per indicare lo stile musicale e la danza tipici dell’Andalusia. Da qui nasce il conflitto d’identità del personaggio che, nonostante sia un flamenco (fenicottero), si chiama Tango, nome che rimanda alla cultura musicale argentina. E il tango è anche la sua passione.
Il cortometraggio, che muove dal tema centrale dell’identità e della sua problematica definizione, intende mostrare come la percezione delle differenze e la loro accettazione possano rappresentare un’occasione di arricchimento. Vuole promuovere, attraverso la delicatezza del linguaggio e della rappresentazione della “alterità” nelle vesti di un uccello migratore, la cultura dell’accoglienza in un tempo che, nella realtà e nella sua proiezione virtuale, è minato da espressioni e atteggiamenti di odio e rifiuto, costretto entro feroci stereotipi.
Il progetto “Un fenicottero di nome Tango” ha poi come obiettivo quello di scalfire la convinzione, radicata in chi nasce e cresce in Sardegna, che in quest’Isola non tutto sia possibile e che l’unica strada per realizzare le proprie ambizioni conduca altrove, oltre il mare. Col contributo di chi arriva, vuole invece suggerire il cartone animato, anche questa terra può diventare spazio di incontro, scambio e sintesi tra le culture internazionali, luogo fertile di opportunità. Significativa a proposito la scena, momento conclusivo della narrazione ed esplosione del senso supremo della storia, in cui il fenicottero incontra l’anziano pescatore nella tenuta di Badde ‘e Salighes (Bolotana). Il personaggio, detentore di antichi saperi e simbolo di un profondo legame tra l’uomo e la natura di cui la Sardegna, i suoi paesaggi antropici e la sua storia sono ancestrali custodi, interpreta un’auspicabile e dialettica visione di società e futuro: la memoria viva e consapevole degli antenati sia terreno fertile e accogliente in cui impiantare virtuosi mutamenti sociali e far fiorire la creatività.

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